Un posto a tavola - mostra corsi 2016
Una tavola, un posto, un piatto, del cibo…. cartolina invito
Anche quest’anno, come nei precedenti, abbiamo scelto un argomento che ci aiutasse a delineare una strada su cui impostare sia l’attività didattica che quella di sperimentazione e di ricerca. Nelle edizioni passate abbiamo lavorato sul tema della ceramica come materiale che consente di cuocere i cibi, “Cosa bolle in pentola?”, e della ceramica come creatrice di forme utili per raccogliere liquidi e garantire momenti di raccoglimento e meditazione, “E’ l’ora del tè”. Gli artisti ceramisti che frequentano il nostro laboratorio, in entrambi i casi, hanno investigato e lavorato approdando alla realizzazione di forme tutt’altro che scontate. Sono nate opere più nell’ambito del “meta oggetto” o della creazione artistica che veri strumenti d’uso: c’erano poche pentole davvero abili per la cottura e poche teiere o tazze che si piegassero ad un reale rito del tè. Abbiamo scelto finora un tema con l’intento di inserirci nell’ambito di ciò che il comune sentire intende per “tradizionale produzione ceramica”: se una persona si dedica a quest’attività è normale e opportuno che realizzi vasi, ciotole, piatti, pentole, tazze, teiere. Il senso dell’azione di ricerca, e della mostra ad essa congiunta, è però quello di superare le convenzioni e trasfigurare le consuetudini, con l’intento preciso di riportare la creazione ceramica ad una sorta di imprinting originario: più che l’oggetto conta il ceramista, perché egli è colui che conosce.
Sapere cosa è una terra, che differenze esistono tra le varie argille, sapere come si possono lavorare, come decorarle, e poi - soprattutto - come cuocerle, è la vera essenza di quest’arte. Tale attività è strettamente legata alle competenze di chi la esercita, ed esse, in qualche modo, si posizionano prima e dopo rispetto ad ogni sua creazione. Ecco perché in mostra oltre alle opere sono sempre presenti i nomi degli artisti e le tecniche con cui ogni oggetto è realizzato. Ecco perché in questa mostra ci sono pochi piatti e certamente non rappresentano “il posto tavola”; ciò che più di altro è esposto è “la creazione ceramica” nella sua accezione più vasta che include, oltre alla conoscenza, il gioco, il divertimento, la creatività e - non ultimo - il piacere di fare tutto ciò insieme ad altri.
Gli ulteriori contenuti che l’esposizione porta con sé si situano invece nell’ambito più vasto della riflessione e dell’animazione culturale. Se la mostra “Cosa bolle in pentola?” si posizionava in modo augurale all’origine di Expo 2016, “Un posto a tavola” parte da un’analisi critica di alcuni aspetti che l’evento ha toccato superficialmente o, addirittura, non ha affrontato.
L’articolo indeterminativo messo nel titolo ha la piccola ambizione di tentare un’osservazione più attenta rispetto a ciò che significa “nutrire il pianeta”. Oltre alla varietà di alimenti, alla diversità di risorse a disposizione, l’azione di nutrirsi lambisce aspetti strettamente umani, che hanno a che fare quindi con la possibilità di incrementare il livello di umanità o di condurre ad una pericolosa dis-umanizzazione. L’uomo ha fatto della sua nutrizione un momento così essenziale e rituale da caricarlo inevitabilmente di valori; tali valori hanno poi, a loro volta, ridefinito l’umanità stessa.
La ricerca che ha ispirato l’esposizione esprime il desiderio di valutare, rappresentare, criticare i tre elementi che si intrecciano nell’atto del mangiare: il posto, la tavola, il cibo. Essi si intersecano e si sono intersecati nella storia dell’uomo in modo vario; forse potrebbero non incrociarsi più, e già ora trovano definizioni nuove e per certi versi stranianti.
La mostra desidera sottolineare che avere o non avere una tavola, avere o non avere un posto ad una tavola, avere o non avere del cibo che leghi il posto alla tavola e un contenitore in cui riporre il cibo stesso, non è automatico; la coniugazione di questi fattori determina la qualità e la condizione di una civiltà.
Ci pare che la ceramica, tramite il repertorio delle sue tecniche e la variabilità dei suoi processi, riesca a suggerire, anche a questo proposito, riflessioni autorevoli. Con la loro costitutiva solidità, le più di trenta opere esposte provano a pronunciare parole distinte e ad intessere un fitto dialogo tra loro. Tuttavia esse attendono che un pubblico si soffermi e le interroghi, così che sia possibile riverberare e amplificare nello spazio più ampio della città il dibattito che quest’anno ci ha coinvolto e animato. Quindi un riconoscente “benvenuto” a coloro che visitano la mostra, prestano l’orecchio e ci dedicano un po’ di attenzione.