BRAMITO

Avevo quattro anni e mi portarono al cinema per vedere Bambi; ero in compagnia di Lorenza, una piccola amica. Quando i cacciatori uccisero la mamma del cerbiatto piangemmo entrambi. Ma i singhiozzi di Lorenza furono strazianti e inconsolabili: dovette uscire dalla sala; la storia di quel cervo, il suo racconto era, per lei, ormai inutile.
…Qualche settimana fa, ai primi di ottobre, camminavo tra i sentieri della Val Sedornia, ad un tratto mi ha raggiunto il bramito di un cervo: è un verso che si propaga nell’aria, fa fremere gli aghi dei pini, ha una vibrazione metallica che colpisce dentro, muove qualcosa tra il diaframma e l’orecchio. Impossibile non sentirlo.
L’ho cercato nel groviglio dei rami, ma il cervo era invisibile.
Sempre lì, sempre in quella stagione, qualche anno prima ne avevo visto uno abbeverarsi al torrente: il sole, al tramonto, attraverso l’otturatore delle valli, si cacciava dentro, buttava tutta la sua luce nel fiume. Il cervo ne era immerso, e l’acqua, tra gli zoccoli e il muso, sembrava fatta di perle. L’animale si accorse, mi ricambiò lo sguardo e poi si lanciò in una cavalcata dentro il torrente: il pelo fulvo brillava sul verde scuro circostante, il corpo si distendeva nelle falcate, il capo troneggiava, retto, esibendo tutta la corona del suo palco.
Era sicuro e imperioso.
Ora lui, o qualcuno come lui, girava tra i faggi e gli abeti, si muoveva da qualche parte sopra di me, lanciava continuamente richiami. Erano i giorni dell’amore e il cervo, nascosto tra le fratte, versava il suo verso che, nel folto del bosco, pareva un ruggito nella savana.
…Lunedì scorso ho parcheggiato la macchina nel piazzale degli impianti sciistici degli Spiazzi di Gromo, proprio mentre un elicottero atterrava: portavano a valle il corpo di un cervo.
Lo hanno adagiato, slegato e lasciato disteso.
Qualche ora prima gli avevano sparato, lì in alto, tra i boschi; gli avevano poi lacerato il ventre perché i gas interni non ammalorassero la carne. Sdraiato, nel mezzo del prato, il pelo aveva il colore dell’erba secca, le corna sembravano un cespuglio di rami, divelto e abbandonato.
Era lunghissimo e disciolto.
Ho sostato in piedi, lì accanto, per qualche minuto: silenziosamente, ne ho officiato le esequie. Poi, mi sono incamminato per salire verso la cima del monte Timogno. Tra le valli gli spari dialogavano con le loro voci asciutte. Niente più bramiti, solo il verbo impotente delle carabine.
…Dentro di me, invece, ancora strazianti, i singhiozzi di Lorenza.

Luca

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